
Un mondo dove business ed etica sono intrecciati e si persegue l’obbiettivo di creare valore per tutti gli stakeholders
A cura di Emilio D’Orazio, Direttore del Centro Studi Politeia di Milano
- L’impresa rappresenta l’istituzione economica e sociale per creare e distribuire ricchezza più riuscita e ampiamente utilizzata. Oggi è indispensabile giungere a una sua ridefinizione, con particolare riferimento all’esame dei mezzi attraverso i quali i benefici derivanti dall’attività imprenditoriale dovrebbero essere generati e dei criteri da impiegare per la loro distribuzione. Le domande fondamentali rimangono quelle concernenti il ruolo dell’impresa nella società: che cosa è l’impresa, e nei confronti di chi e di che cosa essa e i suoi manager sono responsabili? Rispondere a tali questioni è cruciale per la governance e la sostenibilità dell’intero sistema delle imprese.
- Nella concezione del ruolo dell’impresa nella società affermatasi nel corso degli ultimi venti anni – nel senso di un più ampio riconoscimento delle sue responsabilità verso la società in cui opera – l’idea chiave è quella di stakeholders, cioè individui o gruppi che hanno un interesse legittimo nei confronti dell’impresa e delle sue attività, passate, presenti e future, e il cui contributo (volontario o involontario) è essenziale al suo successo[i]. Secondo questa concezione l’impresa non può esistere e prosperare senza gli azionisti, i dipendenti, i consumatori, i fornitori e la comunità in cui opera, che fornisce i mercati e l’infrastruttura necessaria; essa è un insieme complesso di relazioni tra gruppi di interesse con obbiettivi diversi, ognuno dei quali contribuisce alla sua performance e si aspetta benefici come risultato dell’attività aziendale. Pertanto, il buon funzionamento del sistema aziendale dipende dal contributo di tutti i gruppi di stakeholders che, se soddisfatti, rimangono parte del sistema.
Teoria basata sul modello degli stakeholders
Per la teoria dell’impresa basata sul modello degli stakeholders la dottrina tradizionale secondo cui i manager sarebbero moralmente responsabili esclusivamente verso i proprietari/azionisti deve essere, quindi, sostituita dalla visione secondo cui essi hanno un “rapporto fiduciario” verso un’ampia serie di stakeholders dell’impresa.
Presupposta al riconoscimento di una “responsabilità sociale” delle imprese[ii] è la consapevolezza di un cambiamento avvenuto nei termini del contratto tra società e impresa, cambiamento che riflette un mutamento profondo nelle aspettative della società nei confronti delle imprese.
Il vecchio contratto tra società e impresa era basato sull’idea che lo sviluppo economico fosse la fonte del progresso economico e sociale, e che motore di tale sviluppo fosse la ricerca del profitto da parte di imprese private in concorrenza tra loro: l’impresa nel produrre beni e servizi in vista del profitto per gli azionisti/proprietari dava il suo massimo contributo al benessere della società.
Il nuovo contratto tra società e impresa, presupponendo l’idea che la ricerca dello sviluppo economico non porti necessariamente al progresso sociale ma, anzi, possa condurre all’inquinamento ambientale, a lavori pericolosi per la salute dei dipendenti ecc., che impongono costi sulla società, richiede la riduzione di tali costi facendo accettare all’impresa il principio che essa ha l’obbligo di operare in vista del miglioramento non solo economico ma anche sociale. Questa idea fu ben espressa dal Committee for Economic Development nel 1971:
«Oggi […]. All’impresa è richiesto di assumere responsabilità verso la società più ampie che in passato e di essere al servizio di una più ampia gamma di valori umani. All’impresa, in realtà, è richiesto di contribuire più alla qualità della vita della società americana che di fornire semplicemente beni e servizi».
Pertanto, la legittimità dell’impresa come istituzione sociale – la sua “licenza di operare” – dipende dalla sua capacità di soddisfare le aspettative di numerosi ed eterogenei stakeholders.
Le implicazioni etiche
L’adozione della stakeholder view dell’impresa ha una evidente implicazione di carattere etico, particolarmente importante per i manager: questi hanno l’obbligo morale di prendere in considerazione gli interessi degli stakeholders che possono essere influenzati, favorevolmente o sfavorevolmente, dalle loro decisioni. Come hanno chiarito a questo riguardo Donaldson e Preston[iii], il “nucleo normativo” del modello degli stakeholders sta nell’accettazione di due tesi fondamentali:
1) gli stakeholders identificano se stessi a causa del loro interesse nell’impresa (a prescindere dall’esistenza o meno di un interesse funzionale dell’impresa per essi);
2) gli interessi di tutti gli stakeholders hanno valore intrinseco e meritano considerazione nel processo decisionale manageriale, indipendentemente dalla capacità di un gruppo di stakeholders di promuovere gli interessi di un altro gruppo, per es. gli azionisti/proprietari.
L’accettazione di queste due tesi definisce la “moralità dell’organizzazione”: interessi legittimi degli stakeholders richiedono riconoscimento e attenzione da parte dei manager come materia di diritti morali. Ne consegue quindi un ampliamento della gamma dei criteri per valutare la performance aziendale, oltre alla redditività e alla crescita di breve periodo, per includere gli interessi di lungo periodo di molteplici stakeholders la cui collaborazione è essenziale per il successo dell’impresa.
- Il concetto di “stakeholder corporation”, proposto da Wheeler e Sillanpää e caratterizzato dalla stakeholder inclusiveness[iv], rappresenta oggi in Europa l’approccio agli stakeholders nella sua forma più avanzata; secondo Wheeler e Sillanpää «…in futuro lo sviluppo [da parte dell’impresa] di relazioni leali e inclusive con gli stakeholders diventerà una delle più importanti cause della [sua] vitalità commerciale e del [suo] successo».
E alla base di tale convinzione vi è la tesi che: «il valore di lungo periodo di una azienda poggia principalmente sulla conoscenza, sulle capacità e sull’impegno dei suoi dipendenti; e sulle sue relazioni con investitori, consumatori e altri stakeholders. Relazioni leali sono sempre più dipendenti da come una azienda viene percepita creare “valore aggiunto” al di là della transazione commerciale».
La creazione di valore
In base a queste considerazioni si comprende come, una volta adottata la teoria degli stakeholders, si sia portati a considerare l’attività d’impresa come una attività morale, e si comprende quindi come il “nucleo normativo” proprio della teoria possa essere stato usato da Ed Freeman, il più importante fautore di questa teoria, per ottenere un nuovo resoconto del processo attraverso il quale gli esseri umani creano valore mediante le attività imprenditoriali. Accettare il principio secondo cui il valore è creato mediante le attività di business affinché gli stakeholders possano soddisfare di comune accordo i propri bisogni e desideri, porta a una interpretazione nuova dell’idea stessa di capitalismo[v], secondo cui esso è una iniziativa cooperativa tra le imprese e i loro consumatori, fornitori, dipendenti, finanziatori e comunità.
Al resoconto standard della storia del capitalismo – chiamato da Freeman “Shareholder Capitalism” – che descrive il business come un “campo di battaglia in cui solitari guerrieri aziendali vigilano contro l’assalto della concorrenza”, egli contrappone quello chiamato “Stakeholder Capitalism”[vi]. Il “capitalismo degli stakeholders” difeso da Freeman «[…] stabilisce un alto standard […] e chiede ai manager di conseguire l’obbiettivo di creare valore per tutti gli stakeholders».
Adottare questo resoconto vuole dire prefigurare profeticamente «Un mondo dove business ed etica sono inestricabilmente intrecciati, dove valori e virtù sono una parte della vita aziendale e dove la disperazione è sostituita dalla solidarietà che proviene dalla realizzazione congiunta di scopi condivisi».
La teoria degli stakeholders, aspira dunque ad una revisione delle nostre istituzioni perché esse ci servano meglio; in particolare, ciò che occorre fare perché il business “diventi una istituzione pienamente umana” è «sviluppare più compiutamente il modello degli stakeholders per sostenere la revisione del processo di creazione del valore, per rendere il business una istituzione anche più feconda nel fare il bene e nell’innalzare il livello dei meno agiati nel mondo».
La teoria degli stakeholder, a differenza dell’ “ortodossia della massimizzazione del valore per l’azionista” che porta a separare il business dall’etica, considera il business come un qualsiasi altro aspetto della vita umana, per cui l’espressione “business ethics” dovrebbe essere – secondo questa prospettiva – ridondante piuttosto che un ossimoro.
[i] Cfr. W.M. Evan e R.E. Freeman, in “A Stakeholder Theory of the Modern Corporation: A Kantian Capitalism”, in T. Beauchamp, N. Bowie (eds.), Ethical Theory and Business, N.Y., 1993, 4° ed.
[ii] Della “Responsabilità sociale di impresa” sono state date numerose definizioni a partire dagli anni ’50. Secondo H. Bowen (1953), le responsabilità sociali degli uomini di affari “riguardano il loro obbligo di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, o seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in termini degli obiettivi e dei valori della nostra società”; secondo A. Carroll (1979), “la responsabilità sociale dell’impresa incorpora le aspettative economiche, giuridiche, etiche e discrezionali che la società ha sull’organizzazione ad un certo momento”.
[iii].T. Donaldson, L. E. Preston, “The Stakeholder Theory of the Corporation: Concepts, Evidence and Implications”, Academy of Management Review, 20, 1, 1995.
[iv] Cfr. D. Wheeler, M. Sillanpää, The Stakeholder Corporation. A blueprint for maximizing stakeholder value, London 1997, p. 139, pp. 155-158.
[v] Cfr. R. E. Freeman, “Business Ethics at the Millennium”, Business Ethics Quarterly, 10, 1, 2002, p. 177.
[vi] R. E. Freeman, “Poverty and the Politics of Capitalism”, Business Ethics Quarterly, 6,1, 1998, p. 33.