L’IoT è il focus su cui si è concentrato Bryce Goodman che abbiamo incontrato a un workshop organizzato dalla Singularity University a Milano
Di solito le presentazioni della Singularity University sono inarrivabili, troppo alte o troppo futuribili, lasciano sempre un po’ di amaro in bocca, perché non si sa mai se ci saremo, se davvero vedremo quella rivoluzione che ci propongono. Bryce Goodman, invece, ci parla di qualcosa che è già oggi, anzi a ben vedere è quasi ieri. Quasi ieri per chi, come noi, una web tv sull’IoT l’aveva aperta già due anni fa.
In ogni caso è interessante la visione secondo la quale l’IoT sia il punto di incontro di tre campi di studio: intelligenza artificiale, sensori e networking. Tra gli esempi proposti da Bryce Goodman la miniaturizzazione dei satelliti, che ci permette (tra le altre cose) di avere un monitoraggio costante e preciso del nostro pianeta, le potenzialità legate ai droni e più in generale all’agricoltura di precisione, ma soprattutto la capacità dell’IoT di fare da ponte tra il mondo reale e quello digitale.
Così i dati si trasformano, ulteriore esempio, nella manutenzione predittiva che permette di programmare gli stop negli stabilimenti o di monitorare la qualità degli oggetti prodotti, in tempo reale.
Tornando all’agricoltura di precisione, per i nostri contatti con operatori del settore siamo piuttosto scettici su un eventuale diffusione a tappeto dei droni, dal momento che i sensori si possono inserire sui trattori che sono più vicini alla terra e che quindi riescono a essere più precisi e sensibili.
È però certamente vero che nuovi studi e immagini ad alta definizione favoriscono interventi e applicazioni interessanti. È recente l’articolo appena pubblicato su Nature plants riguardo agli studi condotti sulla Xylella fastidiosa, la malattia che sta colpendo gli ulivi in Puglia e piante da frutto un po’ ovunque.
Grazie a speciali telecamere che permettono di effettuare delle analisi iper spettrali e a sensori termici, la Xylella può essere identificata nell’80% dei casi e dai 4 agli 8 mesi prima che risulti visibile ad occhio nudo.
Un caso emblematico che dimostra come la miniaturizzazione delle attrezzature possa risultare piuttosto utile, dal momento che con un drone, per esempio, si può monitorare un’area molto ampia.
È inoltre interessante notare come lo studio sia stato molto complesso: le immagini e i dati raccolti dall’aereo sono stati, infatti, validati da scienziati che hanno mappato e raccolto dati anche a terra.
Come a dire che seppur si miniaturizzino i sensori, si integrino con l’intelligenza artificiale, la raccolta e l’integrazione di dati, prima di essere generalizzate e messa a regime, hanno bisogno di molto lavoro.
Oggi però, con la lettura dei dati e delle connessioni tra immagini e stato di salute delle piante, dovrebbe essere possibile risparmiare quasi il 95% del tempo nel monitorare e sorvegliare le zone ancora indenni.
Credit dell’immagine Alberto Hornero – Swansea University.
Si ringrazia il prof. Donato Boscia IPSP CNR della sede di Bari per la consulenza.
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Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante CNR – Bari
L’intervento di Micheal Gillam al workshop di Milano