L’Urlo di Munch: spettroscopia e raggi X per conservare l’opera

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L’opera, finora poco fruibile per le sue delicate condizioni, potrà presto tornare visibile al largo pubblico

‘L’Urlo’, capolavoro di Edward Munch del 1910 e principale attrazione dell’omonimo museo di Oslo, potrà presto tornare a essere ammirato dal pubblico. L’opera, infatti, a causa delle sue delicate condizioni, è stata raramente esibita per evitare il suo deperimento.

Uno studio, condotto da un team internazionale coordinato dal Consiglio nazionale delle ricerche, ha infatti rivelato che è l’umidità, non la luce come si credeva finora, il principale fattore di degrado dei pigmenti gialli di cadmio impiegati dal pittore nel suo celebre quadro.

Grazie all’utilizzo di metodologie spettroscopiche non-invasive del Cnr Molab, e analisi con sorgenti ai raggi X su micro-frammenti prelevati dall’opera presso l’ESFR di Grenoble, si è giunti a un risultato che suggerisce le condizioni ambientali ottimali per esporre permanentemente il dipinto in condizioni di sicurezza. Lo studio è pubblicato sulla rivista “Science Advances”.

La novità dello studio consiste anche nella integrazione di differenti tecniche d’indagine con un approccio che potrà essere utilizzato con successo per esaminare altre opere d’arte che soffrono di simili problemi. Infatti, “esistono differenti formulazioni dei pigmenti gialli a base di solfuro di cadmio. Esse non sono presenti solo nelle opere d’arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui contemporanei, come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor”, afferma Costanza Miliani direttrice del Cnr – Ispc.

Numerose le istituzioni coinvolte nella ricerca: l’Università degli Studi di Perugia (Italia), l’Università di Anversa (Belgio), il Bard Graduate Center di New York (USA), il sincrotrone tedesco DESY (Amburgo) e il Munch Museum (Oslo).

 

 

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